A controllo strategico del ponte della Badia venne edificato, in epoca medievale, il Castello che domina sul lato sud-ovest la scoscesa riva sinistra del Fiora mentre ad est, dove è protetto da un fossato, si affaccia sulla pianura circostante con un muro di cinta munito di quattro torri semiellittiche.
Un documento dell'809 attesta come nel IX secolo la rocca fosse un'abbazia benedettina fortificata dedicata a S. Mamiliano. Di questo originario avamposto monastico, sorto a difesa del ponte e della popolazione continuamente minacciata dalle incursioni saracene, rimane un ricordo nel toponimo.
Per tutta l'età medievale il castello fu al centro delle contese tra i potenti Aldobrandeschi, i Di Vico e il Comune di Orvieto. A questo periodo (XII secolo) si può far risalire l'attuale aspetto architettonico delle mura e la costruzione del maschio, nucleo più antico del castello.
A partire dal 1430, anno in cui fu assegnata in feudo a Ranuccio Farnese, la rocca godette di un lungo periodo di relativa stabilità. Nel 1513 fu concessa in investitura perpetua al cardinale Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III, che pare amasse soggiornarvi. È’ a lui che probabilmente si deve la costruzione del corpo di fabbrica attualmente destinato a struttura museale. Dal 1537 il castello fece parte del Ducato di Castro e alla fine di questo (1649), venne reintegrato nei possedimenti della Camera Apostolica.
Nel 1808 tutta la tenuta di tuscia e Musignano fu acquistata da Luciano Bonaparte e dal 1853 fu proprietà di Alessandro Torlonia. Dopo decenni di decadenza e abbandono la rocca, in cui nel corso del XIX secolo si era anche installata la dogana pontificia, è stata acquisita dallo Stato nella metà degli anni ‘60 e dopo accurati restauri destinata a sede del Museo Archeologico Nazionale di Vulci (1975).
Il Ponte dell'Abbadia
Il Ponte dell’Abbadia è un’ardita opera dell’ingegneria etrusca, almeno per quanto riguarda la base. Il Dennis, famoso archeologo dell’800, nel suo “Città e Necropoli dell’Etruria” così lo descrive: “E’ davvero una costruzione magnifica, che scavalca l’abisso di roccia come un colosso, con il Fiora che si increspa e si copre di spume molto più in basso”.
Non possiamo fare a meno poi di riportare la esaustiva dissertazione che lo stesso Dennis fa sul Ponte, sulle sue origini e la sua evoluzione nel corso dei secoli: “A quale epoca risale il ponte, e da chi fu costruita? Il signor Vincenzo Campanari, che per primo lo fece conoscere al mondo, ritiene per certo che fosse opera etrusca; ma M. Lenoir, che possedeva un occhio più critico per tali cose, lo mise in dubbio. La verità è che il ponte appartiene a epoche diverse. Intanto presenta tre pilastri aggettanti di tufo rosso, molto danneggiati dalle intemperie, i quali ovviamente sono più antichi della costruzione in nenfro liscio è più duro che li riveste. Entrambi, tufo e nenfro, sono nella tecnica detta emplecton, come le mura di Sutri, Nepi, e Falleri; le parti in nenfro presentano, qua e là dei bugnati. Questo stile, dal momento che era stato adottato dai Romani, non offre alcuna chiara indicazione riguardo ai costruttori del ponte. Il rivestimento dell'arco, comunque, è di travertino, e può con sicurezza essere attribuito a quel popolo, poiché possiede caratteristiche in comune con i ponti di sicura origine romana: il Ponte d' Augusto a Narni, e il celebre Pont du Card. Ritengo che pure l'acquedotto sia romano, per il semplice ratio che passa sopra archi di quella costruzione; poiché l'abilità degli Etruschi nell'arte idraulica è così bene documentata, è altamente probabile che i Romani fossero loro debitori per questo genere di costruzione. I piloni di tufo sono assai probabilmente etruschi, poiché essi con tutta evidenza rappresentano i pilastri del ponte originale; e possono essere stati uniti, come ritiene Lenoir, da una struttura orizzontale di legno - un espediente spesso adottato dai Romani, come nel caso del Sublicio - la quale in seguito cedette il posto alla costruzione muraria in nenfro della fine della repubblica, e agli archi. Questa sembra una ipotesi attendibile; e in mancanza di una migliore, sono disposto ad accettarla. Le parti in nenfro e in travertino sono, in ogni caso, dei tempi romani, qualunque possa essere l'antichità dei pilastri di tufo. Le enormi masse di stalattiti che drappeggiano il ponte sembrano indicare per l'intera struttura un'antichità remota e senza dubbio sono dovute a un lavorìo di secoli. Tuttavia non dobbiamo riferirci ad un periodo troppo antico; del resto, in un caso analogo a Tivoli, una galleria anticamente aperta nella parete di un dirupo, rivestita di opera reticolata romana, ha avuto l'imboccatura ostruita da una immensa formazione similare, del peso di molte tonnellate.
Il Museo Archeologico Nazionale di Vulci
Dal 1975 il Castello dell’Abbadia è sede del Museo Archeologico Nazionale di Vulci e vi sono conservati numerosi reperti provenienti dalle necropoli vulcenti. Di rilievo alcuni vasi attribuiti al cosiddetto Pittore di Micali ed il corredo vascolare rinvenuto nella Tomba della Panatenaica, nella Necropoli dell’Osteria. Specialmente per le produzioni ceramiche il Museo offre un panorama cronologicamente e tipologicamente completo sulle attività produttive e sugli scambi commerciali dell'antico centro, dalla tarda età del bronzo alla romanizzazione. L'allestimento, permette di apprezzare le monumentali sale dell'antica rocca e privilegia l'unitarietà dei contesti, sempre esposti nella loro interezza ed in grado così di documentare tutte le fasi di utilizzo delle tombe vulcenti.
Il percorso di visita inizia nel grande salone al piano terreno che accoglie le testimonianze più antiche, dalle produzioni dell'età eneolitica (III millennio a.C.) a quelle dei decenni finali dell'VIII secolo a.C. Una consistente parte della sala e tutto il corridoio che conduce al maschio sono destinati ad accogliere una rassegna "monografica" della scultura funeraria vulcente, dall'età tardo-orientalizzante all'Ellenismo. Al piano superiore sono esposti nelle prime tre sale reperti provenienti dalle necropoli che vanno dall'orientalizzante antico al tardo Ellenismo nonché delle aree sacre del territorio. Infine il percorso di visita conduce alla quarta ed ultima sala dove si possono osservare le testimonianze dall'area urbana e dal territorio.
Fonte: http://www.canino.info/inserti/monografie/etruschi/vulci/cpm/cpm.htm
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